Sanremo 2021: il punto di vista del musicista

Sono tempi sempre più strani quelli in cui viviamo, oggettivamente difficili e complicati da decifrare. Siamo reduci da 3 serate del Festival di Sanremo 2021, uno degli ultimi riti collettivi e potenzialmente trasversali sopravvissuto alle limitazioni Covid.

Per proporvi qualche punto di vista, riparto dallo scorso anno.

Il 6 febbraio del 2020 vedevamo soltanto all’orizzonte l’onda d’urto che ci avrebbe colpito duro, e avevo appuntato sul mio blog qualche pensiero, che potete rileggere qui https://www.andreacasta.it/la-musica-i-tempi-difficili-del-mondo-il-festival-di-sanremo-e-altri-pensieri-sparsi-dopo-un-solo-mese-di-2020/

Per chi non avesse tempo o voglia, copio e incollo solo un passaggio

“…che senso hanno questi mega eventi? Unificano? Ci distraggono? […] Forse ciò che da ancora un senso positivo agli Oscar come a Sanremo è l’arte, il cinema e la musica, cioè quello che resta dopo le polemiche del giorno, i titoli dei giornali e i fiumi di tweet. Perché? La musica, e il racconto dell’arte in genere, è quello che noi vogliamo che sia: vita, amore, rabbia, forza, gioia, allegria…è tutto e niente ma è con noi, dentro di noi.”

Era come sempre un ragionamento estremamente sintetizzato a favore di blog (lo articolerei sicuramente meglio in una conversazione) ma questo ultimo passaggio sul “racconto dell’arte” mi sembra davvero significativo. Questo Festival 2021 fa fatica ad essere con noi e scorrere in noi, a sviluppare un racconto in empatia con il comune sentire del momento, con ragazzi, famiglie, genitori e nonni chiusi in casa a intermittenza da un anno.

Fiorello e Amadeus meritano tutto il supporto e la solidarietà della comunità artistica e degli spettatori per non essersi tirati indietro in una missione impossibile, invece è dovuto minor apprezzamento, a mio parere, a autori, staff, produttori e chi ha messo “idee e penna” in ciò che vediamo sul palco.

C’è Ibrahimovic che tira fuori il guerriero presente in ognuno di noi, e incarna il motivo per cui il calcio e lo sport siano così importanti in questo momento, tanto nella pratica quanto come spettacolo (anche per questo io continuo a suonare in uno stadio vuoto prima della S.S. Lazio https://fb.watch/41Pi8nwKSV/ ). C’è Fedez che davvero ha fatto cose buonissime raccogliendo fondi e animando importanti iniziative per i lavoratori dello spettacolo, non ultima la campagna I Diritti sono Uno Spettacolo, ideata per tenere alta l’attenzione su uno dei settori più penalizzati dagli effetti della pandemia, e che vive oltre alle spille indossate da lui ed altri sul palco dell’Ariston.

C’è un cast di cantanti in gara per la maggior parte giovani e “molto social”, che di sicuro esprimono un punto di vista fresco in testi e melodie, ma alla fine sembra che quell’influencer che c’è in loro faccia fatica a sommarsi in un flusso generale più potente. C’è Achille Lauro che, a mio parere, seppur si sforzi di animare dei quadri con contenuti universali e “alti” risulta poco emozionante e ripetitivo perché ripropone uno schema già visto lo scorso anno senza riuscire ad “allargare” il raggio d’azione. E poi c’è la stampa, i giornalisti, che non riescono a far di meglio che parlare di dati d’ascolto, e fanno fatica ad animare un dibattito costruttivo e che si amplifichi positivamente oltre lo spettacolo. Sarebbe stato l’anno buono per parlare di Sanremo piuttosto che sparlarne.

Le canzoni, speriamo, cammineranno con le loro gambe dopo il Festival (onestamente ho fatto fatica a coglierle in questi primi 3 giorni, bisogna sempre dargli delle chance prima di sparare sentenze).

Fatto sta che il racconto che ci viene restituito da quella platea vuota non sfrutta le potenzialità, sembra si sia arenato prima di partire, perduto nella querelle “figuranti si / figuranti no”, protocolli, rinvii e polemiche. Così arriva uno spettacolo un po’ fuori dal tempo, più aggrappato a ciò che non si è potuto fare piuttosto che all’opportunità di reinventare qualcosa, rischiare guardando al futuro con i pochi appigli che la situazione permette, facendo esattamente ciò che quasi tutti noi siamo stati costretti a fare in questi ultimi mesi.

Ovviamente da musicista un po’ mi “prudono le mani”: vorrei impugnare il violino e essere su quel palco a metterci del mio, in un anno in cui sento di non essermi mai dato per vinto difronte all’impossibilità, di fatto, di lavorare. Ci sarannno altri palchi per farlo.

Chiudo comunque con un Forza Sanremo, non gettare la spugna.